"Tittiella (da Titti, così era chiamata in famiglia) deve assolutamente sposarsi. È già sfiorita. Nostra madre è morta e nostro padre, ormai vecchio, vive la sua età e non c'è più posto per Titti. Noi siamo responsabili del suo futuro. È giusto che anche lei abbia un avvenire, abbia figli... ponga fine alla sua solitudine ed abbia più certezze economiche".
Così conversavano le due sorelle di Matilde nata V. Una terza era entrata in un convento di clausura (questa volta per sua spontanea volontà) e viveva nel continente. Erano ben consapevoli che la scelta sarebbe stata difficile. Matilde, che da giovanetta era molto graziosa ed aggraziata, anche se non bellissima come le sorelle, si era lasciata andare. E poi non era facile trovare uno sposo degno di una nata V.! La società paesana si stava sfaldando. Tutto lasciava intravedere un'evoluzione irreversibile e perciò tutto era più precario e relativo. Mi sono sempre chiesta se lei, così delicata ed amabile, avesse avuto un sogno amoroso nascosto nel suo cuore. Non l'ho mai saputo perché il riserbo dignitoso ed austero fu sempre una barriera a comprendere (o captare), durante le nostre lunghe conversazioni. Né le sorelle certamente si posero mai questa domanda. Qualcuno che fosse adeguato in "qualcosa" (da decifrarne il contenuto) ad una nata V. Il "qualcosa" fu trovato nella ricchezza. Ma sì, certo! Dopo secoli e secoli di certezze in termini di potere, blasone e ricchezza, tutto diventava incerto. Tutto era messo in discussione. Bisognava, pertanto, assicurarle un futuro sicuro e senza sorprese!
Mia cara Matilde nata V.,
il resto ed i dettagli della tua vita diventano inutili a questa narrazione. Quel che mi preme sottolineare è la centralità della tua presenza, mia cara zia e madrina, nel mio cuore e nei miei ricordi. Non ti dimenticherò mai. Ma quelle "barriere" che tu ponevi nei nostri colloqui sono diventate mie in questo mio monologo su di te. Ed io, quindi, mi fermo qui.
Ora anche io sono anziana e più che mai ti sento vicina e permettimi di inchinarmi davanti a te e, come ho fatto tante volte allora, chiedere la tua benedizione. Grazie!
Così conversavano le due sorelle di Matilde nata V. Una terza era entrata in un convento di clausura (questa volta per sua spontanea volontà) e viveva nel continente. Erano ben consapevoli che la scelta sarebbe stata difficile. Matilde, che da giovanetta era molto graziosa ed aggraziata, anche se non bellissima come le sorelle, si era lasciata andare. E poi non era facile trovare uno sposo degno di una nata V.! La società paesana si stava sfaldando. Tutto lasciava intravedere un'evoluzione irreversibile e perciò tutto era più precario e relativo. Mi sono sempre chiesta se lei, così delicata ed amabile, avesse avuto un sogno amoroso nascosto nel suo cuore. Non l'ho mai saputo perché il riserbo dignitoso ed austero fu sempre una barriera a comprendere (o captare), durante le nostre lunghe conversazioni. Né le sorelle certamente si posero mai questa domanda. Qualcuno che fosse adeguato in "qualcosa" (da decifrarne il contenuto) ad una nata V. Il "qualcosa" fu trovato nella ricchezza. Ma sì, certo! Dopo secoli e secoli di certezze in termini di potere, blasone e ricchezza, tutto diventava incerto. Tutto era messo in discussione. Bisognava, pertanto, assicurarle un futuro sicuro e senza sorprese!
Mia cara Matilde nata V.,
il resto ed i dettagli della tua vita diventano inutili a questa narrazione. Quel che mi preme sottolineare è la centralità della tua presenza, mia cara zia e madrina, nel mio cuore e nei miei ricordi. Non ti dimenticherò mai. Ma quelle "barriere" che tu ponevi nei nostri colloqui sono diventate mie in questo mio monologo su di te. Ed io, quindi, mi fermo qui.
Ora anche io sono anziana e più che mai ti sento vicina e permettimi di inchinarmi davanti a te e, come ho fatto tante volte allora, chiedere la tua benedizione. Grazie!
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