Questo spazio, oltre ad essere un mio momento di libertà, fa riferimento alla mia infanzia e giovinezza e ai personaggi, luoghi e storie che hanno fatto parte della mia vita di allora. Tutto ciò ha profondamente toccato il mio cuore, perché i nati V. di allora mi hanno molto amata e capita e a tutti loro dedico i miei ricordi. Grazie!

martedì 6 gennaio 2015

55 - Auf Wiedersehen Deutschland e Bonjour France

Sopra: Lago di Starnberg, Baviera. Sotto: Fiume francese Garonna
Ho trascorso tre lunghi inverni nella terra di Germania. Anzi nella terra di Baviera. I bavaresi, con una punta di orgoglio mai sopito, dicono che la Baviera era nazione molto tempo prima della Germania e quelli sono solo... prussiani!
Mi piaceva conoscere queste disquisizioni... la storia mitteleuropea si affacciava nei miei ricordi, ma ancor più - stranamente - nei paesaggi. 
I boschi, i castelli, i laghi. Wittelsbach, Hofburg, Berg, Starnberg, Ludwig. Tutte cose e persone care alla gente del luogo, ma nello stesso tempo futuro, futuro futuro. Incredibile! Il passato è gloria, orgoglio della loro storia. Ma il futuro è impegno, sfida e forse anche dominio! È stata un'esperienza bellissima. Io pensavo che, ad una certa età (la terza più precisamente), il bagaglio di esperienze personali fosse già codificato. Invece scopro in me una parte giovane che si meraviglia, che apprende, che migliora, che conosce!
Ora mi trovo in terra di Francia. Nel sud-ovest. Nella terra dove nacque la lingua d'oc, nella terra occitana. Dove gli antichi trovatori musicavano e poetavano in un medioevo intenso, fatto di "cavalieri, armi ed eroi" per dirla con Ariosto. Accanto c'è la "fantasiosa" Guascogna (odierna Aquitania) dove Dumas fece nascere d'Artagnan il moschettiere. L'occitano vive ancora tra questa gente. Il nome delle vie è indicato in doppia lingua. Tutto cerca di essere conservato: profumi, odori, ricette e... le violette, che coltivano su interi campi della Provenza.
Ovviamente la France est toujours la France! Modi gentili, una lingua bellissima, un minuetto di "s'il vous plaît" e "merci". L'amore in tutte le sue sfumature, Prevert oppure la Piaf, che con voce struggente e sensuale canta "Quand il me prend dans ses bras, il me parle tout bas, je vois la vie en rose...". Ma sarebbe riduttivo dire solamente ciò.
1789. 
Che contrasti! Furia, violenza e ghigliottina. Idee che marciano, che s'impossessano delle generazioni future sino a noi. Nel bene e nel male siamo tutti figli del 1789. Gli scrittori maledetti... e poi Sartre con il suo mal di vivere ed il suo quasi nichilismo. Sagan. Simone de Beauvoir. Ora invece si parla solo di spread. Le idee sembrano essersi fermate in quel mondo salottiero, sia che fosse un bistrot o una piazza.
Eppure debbo ammettere che in nessun paese mi sono trovata così bene e a mio agio come in Francia.
Bonjour France! E... merci, s'il vous plaît.

Fonte immagini: 
Lago di Starnberg (sopra): http://nata-v.blogspot.com/
Fiume Garnonna (sotto): http://slideplayer.fr/

lunedì 17 novembre 2014

54 - La petite enfant


Ricordati Barbara                     ...questo amore così vero                ...sono andato al mercato dei fiori
pioveva senza sosta                  questo amore così bello                   ed ho comprato dei fiori
quel giorno su Brest                  così felice                                         per te
...ed io ti ho incontrata            così gaio...                                       amore mio...
a rue de Siam...

Leggevo sempre alla nata V. più importante della mia vita, mia madre, queste poesie d'amore. Prevert, sotto certi aspetti un "tipaccio", però sapeva parlare di amore e a volte i suoi versi diventavano flash fotografici ("ed io ti ho incontrata a rue de Siam"). Ora mi trovo nella terra di Prevert. Giorni fa sono passata per una piazza del centro storico abitata solamente da francesi, insomma "prevertiana"... gruppi di persone, sguardi... ed allora, mamma, mi sono riaffiorati i ricordi delle nostre lunghe "declamazioni". Le poesie che tu amavi, che ascoltavi seria ed a volte turbata (in fondo Prevert comunicava il suo mal di vivere). Ed ecco che il ricordo di te mi fa sobbalzare... perché c'è una bimba che porta il tuo nome... lo sai perché tu e papà la state proteggendo...
Quando sono arrivata in terra di Francia, insieme a mia figlia (sempre attenta e riservata come te, mai sbruffona) e due suoi amici anziani siamo andati a rendere omaggio e ringraziare una comunità di suore che avevano pregato per la nostra "petite enfant". Durante il viaggio ho mostrato dal mio cellulare a Madame Hélène (un bel tipo, ti sarebbe piaciuta) tre foto: "la petite enfant, ma maman e la grand-mère de maman". Hélène ha detto: "trois belles femmes".

Mia diletta petite enfant, 
forse non ti ricorderai di me: tu inizi la tua vita (che Dio ti protegga sempre) ed io termino la mia. Per me sei un raggio di sole ed in questa luce hai tirato fuori dalla penombra e dall'indifferenza anche la tua bisnonna. Siete emerse entrambe: il passato ed il futuro. La dolcezza dei ricordi del passato e la gioia esuberante per il futuro. Il tuo futuro, petite enfant. Ed io ti guardo estasiata, ti prometto che questa prozia (stravagante, solitaria ma sincera) ti starà vicino finché Dio vorrà. 
Ti abbraccio piccola mia diletta,

Matilde nata V.

lunedì 23 dicembre 2013

53 - Sigarette e biciclette

Mi piacciono quelle foto. Datate anni ‘40 o poco su. Gruppi con sorelle, fratelli, cugine, amici e fidanzati. Tutti, ovviamente, molto giovani. Tutti in bicicletta e con la sigaretta in bocca! Lei (la mia pro cugina) davanti a tutti: gonna ampia e corta per l’epoca (1940-45), camicetta con bottoni, sorridente (a dire il vero l’intero gruppo lo era), seduta sul sellino della sua bicicletta e con la sigaretta in bocca.
Era giovane, desiderosa di futuro. I suoi occhi pieni di curiosità, di speranze, di libertà. Grande interesse per le novità. Qualche anno fa, quasi novantenne, mi confidò che avrebbe imparato volentieri ad usare il computer! Mi ha sempre parlato della tecnologia con tanto entusiasmo. E come una "Alice" mi guardava attentamente quando io le raccontavo di Skype e della possibilità di parlarsi come al telefono e di vedere l’interlocutore. Era affascinata. E’ stata compagna di scuola di mia mamma. Nata V. come lei e dello stesso ramo del casato. Come la Nata V. più importante della mia vita, lei è umile, propensa all’ascolto, riservata nelle confidenze, intelligente nel capire. Per il resto profondamente diversa. Aperta alle novità, senza remore e più ottimista (ma mai superficiale). Pronta a lasciare il paese in momenti di necessità per trasferirsi in città, dove da giovane mamma ha vissuto per anni per permettere ai figli di studiare. E non stava chiusa in casa! Usciva, passeggiava, guardava i negozi, fumava… Ricorda con grande nostalgia quegli anni fuori dal paese del profondo sud. Le è sempre piaciuto sentire la sua mente libera. La ritualità della sua famiglia le stava stretta allora come ora. Grandi letture di autori contemporanei. Scorci dell’Italia del dopoguerra . Una società (molto lontana da quella paesana) che emancipava soprattutto le donne. Questa generazione che visse la guerra ed il post-bellico è sorprendente. La guerra spazza via tutto,  per dirla con Bacone fa "tabula rasa". Dobbiamo molto a queste donne e uomini che – dopo fame, miseria e lutti – ricominciarono la loro "marcia" verso il futuro.
Da un anno è allettata. Ha passato momenti che pensavo non avrebbe superato. Per tenerla su le ho cantato anche il suo cantante preferito, Lucio Dalla. Quando la vita  sta per lasciarti si rompono certi schemi, si ha bisogno di dire, di narrare, di trasmettere. Io ascolto. Sono diventata la sua biografa!  E si ritorna alla famiglia di origine. Lei parla – con la sua solita libertà – dei suoi fratelli e sorelle. Una, la più carina delle quattro e con un viso da bambolina antica, visse un amore impossibile, senza chance per l’epoca. Ma anche se vecchia, non temette di partire per incontrarlo – dopo anni – per l’ultima volta. Si videro in città dove presero un caffè insieme, conversarono per una mezz’ora e poi lei ritornò al paese. Era quasi in stato confusionale. Nel parentado mai nessuno aveva saputo una cosa del genere. La più grande si sposò. Dopo nove mesi il marito, un bellissimo ufficiale di marina, morì in guerra. Aiuterà molto la sorella nei momenti di disagio economico. L’altra, nubile e forse la più schiva, era molto buona.
I fratelli. Uno di loro si oppose alla volontà del padre, che avrebbe voluto che si occupasse dell’azienda agricola. Andò via. Trovò un lavoro, si sposò ed ebbe figli. Lei ne è ancora compiaciuta. Perché non visse "a ritroso" ma volle fare le sue scelte, volle decidere della sua vita. Con orgoglio evidenzia la validità dell’agire del fratello. Due, invece, rimasero all’ombra del blasone. Uno andò a donnacce (sono le sue parole), l’altro si impelagò in amicizie che lo indebitarono. Debiti che alla sua morte l’intera famiglia pagò dignitosamente. Non si sposarono. Due vite inutili. Questo è il suo giudizio. Pesante si, ma vero. Li ho conosciuti anch’io, soprattutto il primo (quello dei tanti amori). Aveva una grande passione per le rose. Ogni anno a maggio mia mamma – anche se molto malata – mi chiedeva di accompagnarla al roseto del cugino. E lui, dandole il braccio, le mostrava le sue rose e con molta delicatezza. L’ultimo fratello morì in guerra ed è sepolto in un cimitero militare in Puglia tra i tanti giovani che perdettero la vita in quella “follia” che è sempre la guerra.
Ora è sempre allettata, ma nel pomeriggio viene seduta in poltrona. E non appena il figlio va via, subito dice alla badante: "prendi le sigarette che io e mia cugina fumiamo!".

Fonte immagine: www.stylosophy.it

giovedì 14 febbraio 2013

52 - Senza retorica



Ma è difficile... stupore, tristezza, coraggio, purificazione, smarrimento.
Grazie Amatissimo Papa. Dio Ti benedica e provveda per la nostra Chiesa.

Dev.ma Matilde nata V.





Fonte immagine: http://www.luoghi-sacri.it/

giovedì 18 ottobre 2012

51 - Un pomeriggio afoso di agosto

"Vedi, all'indomani del matrimonio si capì subito la voragine che si stava aprendo. Era stata organizzata una grande festa nel palazzo di famiglia e lui, generoso come sempre, le aveva regalato a sorpresa un abito da favola... ma lei non volle partecipare."
Lei: capelli rossi, viso grazioso su un corpo tozzo.
Lui: nato V., era un mio pro-prozio.
Era un bell'uomo. Tra i più belli nella sua famiglia di quattordici figli. Era vissuto per parecchio tempo fuori, "nel continente", dove aveva fatto il militare e dove si era fermato anche oltre. Brioso, brillante, "di società", ma anche molto buono. Aveva affinato i suoi gusti. Amava il bello ed era ricercato nei modi. Arredò le case con mobili di grande pregio. Qualcosa è arrivato anche a me.
Tornato nel paese del profondo sud, trovò i fratelli che si erano assegnati gran parte, o il meglio, del patrimonio familiare e che premevano affinché si sposasse. La scelta fu secondo le convenienze di allora, che poi erano soprattutto economiche. Una giovane, figlia di un padre vedovo. Ma con dei geni caratteriali particolari. Non brillava di intelligenza. E ciò poteva anche non essere grave. Ma era testona (senza alcuna duttilità), dispettosa e molto capricciosa.
Si vociferò subito in paese sulle sue infedeltà.
Non so bene come e perché, ma si trasferì nel capoluogo di provincia e cominciò a frequentare quelle case tanto diffuse nel secolo scorso. Si presentava anche con il cognome da sposata (!). Non dette mai spiegazioni ai "giovani baldi " (anche suoi parenti) che dal paese si spostavano per frequentare quei ritrovi.
Non tutti i figli si possono attribuire al marito che - con grande magnanimità - trasmise senza distinzione a tutti il suo cognome e li lasciò eredi in parti uguali.
Quando lei morì (dopo di lui) fu portata al paese su un carretto e dietro c'era solamente il vecchio padre.
Questo particolare mi è stato raccontato da mia madre, la cui "pietas" era un dato strutturale della sua etica umana, profondamente uguale a quella di suo padre (mio nonno). Il resto della famiglia sconosceva questo sentimento.
"Dimmi come, quando e dove è morto", chiesi alla mia interlocutrice in un pomeriggio afoso dell'agosto appena trascorso.
Per il caldo le stanze antiche erano tenute in penombra. Tutto sembrava surreale.
Noi due: una di fronte all'altra. Due età diverse ma con lo stesso affetto per i nati V.
I ventagli si muovevano convulsamente alla ricerca di un po' di refrigerio, mentre fuori il paese sonnecchiava in un presente ibrido ma ormai lontano da noi due (sto meditando seriamente di lasciare per sempre e definitivamente il paese del profondo sud).
"È morto in questa casa il mio pro e tuo pro-prozio. Mia nonna (la sorella più grande) lo accolse e lo accudì con tanto amore.
Il suo cuore si era ammalato. Aveva 37 anni."

Fonte immagine: http://www.annavigo.it/

giovedì 19 aprile 2012

50 - Harmonia Caelestis - 1 aprile 2012 ore 8

Abbiamo tante volte parlato di Esterházy e del suo libro più famoso "Harmonia Caelestis". Con te si poteva discutere di tutto. Sapevi parlare e sapevi ascoltare.
Scendevi (per andare nel salotto dei nostri colloqui) quelle "orribili" scale (che nuocevano al tuo cuore malato) con grazia ed eleganza. Perché tu eri veramente aristocratica. E non solo perché appartenevi ad una famiglia (la stessa del "lui" più importante della mia vita: mio marito) che vanta mille anni di storia documentata. Non solo per questo. Erano i tuoi pensieri elitari, mai banali. Intelligenza e sensibilità. Libertà.
La verità era importante nei nostri colloqui. Ci rendeva libere. Noi due, attanagliate da percorsi e vicende similari. Noi due ed i nostri figli. Ansie, speranze e delusioni...
Più di mezzo secolo di amicizia, di travolgimenti di eventi, ma sempre curiose della vita.
Io girovaga per l'Europa. Tu sempre nella vecchia casa, nel quartiere che, nel paese del profondo sud, sa più di "oblio". Eppure eri sempre all'avanguardia nelle tue riflessioni. I tuoi discorsi abbracciavano il mondo intero. Vincevi la malinconia con la tua intelligenza. Superavi le incomprensioni con l'amore e il perdono. Ci siamo aiutate a vicenda. Sapevi cogliere ogni sfumatura del mio animo.
Per Esterházy l'Harmonia Caelestis è un'antica partitura musicale composta da un suo antenato nel 1600.
Per me è il luogo (so che non vi esiste lo spazio ed il tempo) dove tu sei ora. La condizione del tuo essere nell'infinito, dove tu, bella come sempre e con gli occhi nerissimi e grandi, ti muovi libera, ancor di più.

Ed io?... ora?... ciao Amica mia.


Fonte immagine: http://openlibrary.org/

mercoledì 7 dicembre 2011

49 - Matilde nata V. - Parte III

"Tittiella (da Titti, così era chiamata in famiglia) deve assolutamente sposarsi. È già sfiorita. Nostra madre è morta e nostro padre, ormai vecchio, vive la sua età e non c'è più posto per Titti. Noi siamo responsabili del suo futuro. È giusto che anche lei abbia un avvenire, abbia figli... ponga fine alla sua solitudine ed abbia più certezze economiche".
Così conversavano le due sorelle di Matilde nata V. Una terza era entrata in un convento di clausura (questa volta per sua spontanea volontà) e viveva nel continente. Erano ben consapevoli che la scelta sarebbe stata difficile. Matilde, che da giovanetta era molto graziosa ed aggraziata, anche se non bellissima come le sorelle, si era lasciata andare. E poi non era facile trovare uno sposo degno di una nata V.! La società paesana si stava sfaldando. Tutto lasciava intravedere un'evoluzione irreversibile e perciò tutto era più precario e relativo. Mi sono sempre chiesta se lei, così delicata ed amabile, avesse avuto un sogno amoroso nascosto nel suo cuore. Non l'ho mai saputo perché il riserbo dignitoso ed austero fu sempre una barriera a comprendere (o captare), durante le nostre lunghe conversazioni. Né le sorelle certamente si posero mai questa domanda. Qualcuno che fosse adeguato in "qualcosa" (da decifrarne il contenuto) ad una nata V. Il "qualcosa" fu trovato nella ricchezza. Ma sì, certo! Dopo secoli e secoli di certezze in termini di potere, blasone e ricchezza, tutto diventava incerto. Tutto era messo in discussione. Bisognava, pertanto, assicurarle un futuro sicuro e senza sorprese!

Mia cara Matilde nata V.,
il resto ed i dettagli della tua vita diventano inutili a questa narrazione. Quel che mi preme sottolineare è la centralità della tua presenza, mia cara zia e madrina, nel mio cuore e nei miei ricordi. Non ti dimenticherò mai. Ma quelle "barriere" che tu ponevi nei nostri colloqui sono diventate mie in questo mio monologo su di te. Ed io, quindi, mi fermo qui.

Ora anche io sono anziana e più che mai ti sento vicina e permettimi di inchinarmi davanti a te e, come ho fatto tante volte allora, chiedere la tua benedizione. Grazie!

martedì 6 dicembre 2011

48 - Matilde nata V. - Parte II

La sua infanzia e giovinezza (si sposò tardi e per quell'epoca era già una zitella) fu completamente dedita alla sua famiglia. Famiglia che allora era "allargata", in quanto comprendeva anche le zie del padre che - per volontà paterna - non si erano sposate ed erano "monache di casa". Erano davvero eccentriche! Un po' come la "Femminista", avevano maturato una sincera avversione verso gli uomini, ai quali dovevano sottomissione ed obbedienza. Per loro era un dramma il matrimonio di una nipote. Non facevano auguri. Con le mani in testa borbottavano "povera pazza, povera pazza..." In questo contesto familiare abbastanza stravagante cominciò la parabola malinconica di Matilde, donna di notevole intelligenza e grandissima sensibilità. I tempi cambiavano, non solo socialmente, ma con effetti anche sul piano economico e finanziario. Era una società ancorata al passato, incapace di rinnovarsi, forestiera ormai tra la sua gente. La madre morì giovane, lasciando ancor più nella tristezza Matilde. Lei era ben lucida e capiva la nuova realtà che, ponendo fine a tante cose, le toglieva la speranza e la rendeva una sorta di "superstite" pessimista e senza futuro.

(continua)

lunedì 5 dicembre 2011

47 - Matilde nata V. - Parte I

"Vuoi che ti prepari una cioccolata calda?". I miei occhi di bambina golosa brillavano, perché nessuno la preparava così bene come lei. La vedevo allontanarsi verso la cucina. Il suo corpo era un po' appesantito. C'era qualcosa di "trascurato" in lei, nonostante fosse pulita ed ordinata. La sua sciatteria veniva dal profondo del suo animo. Dentro di lei qualcosa la rodeva, le aveva tolto la voglia di sorridere. Era come se non avesse più orizzonti! I suoi occhi (enormi e nerissimi) non guardavano più in alto o avanti, perché il suo cuore era stato talmente mortificato da non ricordare più cosa fosse la gioia.
Matilde nata V. era in assoluto la più piccola nella famiglia di mio nonno. Sette figli: tre maschi e quattro femmine. Il padre aveva sposato una donna del continente. Quando la portò qui, nel paese del profondo sud, calò il gelo. Lei era bellissima. La nata V. più importante della mia vita, mia madre, le assomigliava molto. Ma il gelo si cambiò in euforia perché il nonno materno del mio bisnonno, vedendola così bella, si fece carico di tutto: matrimonio e relativa festa. Da quel momento fu accolta a pieno titolo e tutto il parentado in seguito la stimò molto. Matilde nata V. crebbe con questa mamma e con tanti problemi. Il padre, incontinente libertino, tradiva la moglie disseminando figli per tutto il paese. La madre, pur essendo molto apprezzata dalle cognate, era sempre triste. Conosceva i tradimenti del marito... ma forse non si adattò mai al cambiamento ambientale. Guardava sempre attraverso i vetri lontano e in qualche suo scritto si avverte tutta la nostalgia della sua terra.

(continua)

Fonte immagine: http://www.annavigo.it/

venerdì 21 gennaio 2011

46 - Ma lei dov'è?

Giorni fa guardavo allibita quel braccio meccanico che - inesorabilmente - stava distruggendo la villetta. La sventrava. Ed a pezzi cadeva. Si vedevano le stanze, i colori delle pareti. Smunte tendine erano ancora appese alle finestre. Lo stile della villa era quello tipico della terra di Germania, dove per ora mi trovo. Le macerie crescevano. Il sogno di una vita, la casa in mezzo al verde, veniva demolito. Il grande braccio meccanico, avanti ed indietro, radeva tutta una storia a me purtroppo sconosciuta. Tra la gente che passava (i tedeschi sono molto riservati), impercettibilmente coglievo segnali di disappunto. Anche un ragazzo molto giovane si fermò. Anche in lui ho captato fastidio per questa demolizione. Indubbiamente era la casa più vecchia (molto trascurata, quasi fatiscente) della strada (Straße) dove io abito. Pensavo fosse disabitata. Ma lo scorso anno, quando d'inverno passavo lì davanti, vedevo sempre trapelare un filo di luce elettrica. Mi chiedevo sempre chi vi abitasse. Forse una persona anziana che non amava o non poteva uscire. Cosa insolita. Perché qui, in terra di Germania, le persone, anche avanti negli anni, non si arrendono. Né al clima, né ai loro acciacchi. Escono sempre, anche con le stampelle... ma sono indomiti. Una mattina, tornando dalla spesa, come sempre guardavo quella villa. Ad un tratto la porta si aprì e sulla soglia comparve una donna. Doveva essere stata bellissima. Ancora alta e sottile, occhi azzurri, carnagione bianchissima. Sembrava uscita fuori da un documentario sugli anni venti! I capelli ondulati né lunghi né corti. Vestiva tutta di chiaro. Sembrava un fantasma emerso dal passato. Incrociammo lo sguardo. C'era qualcosa in lei di veramente particolare. Difficilmente si può dimenticare una persona, un volto, uno sguardo come il suo. Non l'ho più rivista. Ma dopo quasi un anno, la sua casa è stata stritolata dal braccio meccanico. E lei dov'è? È morta? Oppure in un ospizio? E chi ha voluto una cosa del genere? Lei o chi per lei? Oggi ha nevicato in terra di Germania. La neve silenziosa ha ricoperto le macerie.

Fonte immagine: http://blog.libero.it/

venerdì 14 gennaio 2011

45 - Lotta di classe

Il volto era bruciato dal sole e solcato da rughe profonde. Dopo circa un quarto d'ora (tempo lunghissimo per lei) alzò il capo che aveva tenuto tra le mani. Lei trepidava... rivolgendosi agli altri contadini ordinò, in modo imperioso, di proseguire la raccolta dell'uva e di completare la vendemmia in giornata e a qualunque costo. Poi si rivolse alla donna: "Sia ben chiaro: io non faccio tutto ciò per suo marito o per timore di suo marito o per riverenza verso suo marito". L'uomo a cui si riferiva (il marito) aveva urlato in maniera sconveniente. Aveva urlato ed ordinato con tono di comando, come si faceva molto tempo prima, quando una classe sociale dominava sulle spalle di un'altra che ubbidiva incondizionatamente. Ma i tempi non erano più quelli. E lei, giovane, esile e con grandi occhi neri, capiva molto più del marito che - per evitare uno scontro di mani - avevano portato via quasi di peso. Lei ora tremava. E chiese scusa. Era lì davanti a questo omone, che proseguì il suo discorso: "Non lo faccio per suo marito ma... per lei. Vede signora, forse lei non sa che da bambino sono cresciuto in una campagna di suo nonno. Suo nonno vide in me delle qualità. Ed ogni giorno, pur di farmi studiare, mi faceva accompagnare a scuola pagando tutto quello che c'era da pagare. E se io sono arrivato oggi a capo del sindacato, lo debbo solo a suo nonno". Lei guardava allibita con gli occhi nerissimi e sgranati. Lo vide alzarsi dal muretto. Era quasi un gigante davanti a lei così minuta. La guardò fisso. I lineamenti sembravano essersi addolciti. Si tolse il berretto ed accennò ad un inchino. Dopo si girò: "Forza ragazzi. Vi ho detto che oggi bisogna finire!". Ora era lui il capo.

Fonte immagine: http://marcofantesca.wordpress.com/

martedì 16 novembre 2010

44 - Una grande donna

I preparativi per il matrimonio andavano a gonfie vele... ed impegnavano l'intera famiglia. In quelle società un po' "arcaiche ed opulente", legate a tanti "ismi", l'avvenimento (perché tale era allora un matrimonio) doveva essere perfetto, denso di significati esteriori e formali. La promessa sposa era una giovanissima donna di appena 20 anni, ma con una vita interiore che la faceva volare alto oltre alle mediocri contingenze di allora. Certo, lo sposo era stato scelto dalla famiglia... allora i matrimoni erano tutti combinati... Ma lei, giovane ubbidiente e devota, era anche desiderosa di un suo avvenire di amore e figli... Arrossiva al pensiero delle gioie future, le sognava, ne era felice. L'orizzonte le appariva roseo. Il prescelto era un bell'uomo, famiglia di tutto rispetto. Guardava con tenerezza questa "quasi fanciulla" minuta e di maniere molto fini... sembrava una bambolina di Biscuit! Se ne era anche innamorato! Si sentiva un uomo fortunato. Aveva trovato una donna "perfetta". Perché lei, oltre ad essere bella e di classe, era anche molto intelligente e di forte spessore morale. E poi... bisognava cambiare vita. La sua era trascorsa tra ricchezze e "non divieti" che lo avevano appagato fino a quel momento. Ora sentiva il bisogno di altro. Il giorno del matrimonio era stato sì gioioso e carico delle dignità che le due famiglie tradizionalmente esigevano, ma qualcosa di strano "serpeggiava" tra la servitù. Lei avvertì ma non capiva. I suoi genitori le avevano nascosto (così come il suo sposo) una cosa importantissima: lui aveva un'amante fissa tra la servitù ed una figlia. Tutti sapevano tranne lei... Si sentiva lacerata dentro di sé. Aveva 20 anni, ma di colpo ne sentiva sessanta in più! Tutti avevano ignorato le sue innocenti speranze. Si sentiva derubata, illusa... anche le amiche e le cugine avevano taciuto. Il marito, con la faciloneria tipica di un signorotto d'epoca e con rudezza, pensava di risolvere tutto... cacciando tutti. La giovane sposa si ricompose. Lei, seppur delusa ed umiliata, mise sotto la sua protezione la bambina, esigendo che le fossero date tutte le garanzie per il suo futuro. La seguì con discrezione durante tutta la sua vita. A quell'epoca era tanto! I figli nati per caso erano tantissimi. Innocenti, destinati all'indifferenza del genitore e al fastidio delle mogli. Poi anche la giovane e bella sposa diventò mamma. Finalmente la sua vita si tingeva di rosa! Amore, gioia e giubilo verso questo figlio, un dono di Dio! Ma... Dio volle riprenderselo, ancora bambino. Per anni restò chiusa nel suo dolore accanto al marito. Dopo la morte di lui, libera da legami umani, orientò la sua vita verso Dio. Lei era la madrina di "Lui" e di "Nata V.".

Fonte immagine: http://www.comune.bonassola.sp.it/

giovedì 21 ottobre 2010

43 - Un ricordo, un amico - Parte II

Minuta e molto magra. Silenziosa e sorridente. Lei che era sempre vissuta nello stretto perimetro del paese, non esitò a partire. Imparò le lingue e trovò in sé le risorse per vivere in terra straniera tra studio, letture e lunghe suonate al pianoforte. Non vivevano, ovviamente, insieme. Ma ogni sera, dopo il lavoro, lui trascorreva del tempo nel piccolo appartamento della madre. Tra i due, colloqui "silenziosi": uno ritrovava le sue radici e l'altra il suo futuro. Dopo il fallimento del matrimonio, ci fu una passerella di donne, che così come entravano in scena ne uscivano. Dalla madre nessun commento... mai... Tornava ogni estate assieme al figlio. Ci sorrideva. Il suo silenzio, però, diventava sempre più trepidante... Poi, la svolta... lui si risposò. Una ragazza giovane e ... "rampante". Sembrava che tutto andasse bene. Poi - sempre nei nostri incontri estivi - cominciò ad affiorare una certa amarezza. Delusione, mai palesata espressamente, ma che lo lacerava dentro. Altra svolta: lasciò il lavoro e la terra del Nord e tornò al paese. La nuova famiglia rimase lì. L'anziana madre lo seguì. Lei ritornò nella vecchia casa, lui nella villa in campagna. Alla sera i soliti "colloqui silenziosi". Quando la madre morì rimase veramente solo. Indimenticabile il suo dolore. Piangeva senza lacrime, singhiozzava senza singhiozzi!... Veniva sempre più spesso a trovarci. A lui bastava il nostro affetto senza domande. In fondo anche qui "colloqui silenziosi". Non fece trapelare più l'amarezza, nessuna frase lasciata lì per caso. Gli bastava l'affetto di mia madre, mio e di qualche altro parente. Parlava di sé con sottile autoironia. Aveva ben chiara la sua vita. Il volto perennemente abbronzato. In campagna l'esposizione al sole era pressoché continua. Rimase sempre "snob" e "anti-snob"... Era difficile capire la sua esistenza da eremita. Veniva giudicata severamente: l'ultima sua stravaganza. Ma io conoscevo il suo malessere... Ogni tanto partiva per il paese del Nord. Ma prima veniva sempre a salutarci. Anche quella volta...quando arrivato lì fu stroncato dal suo cuore malato. Aveva 52 anni. Era nato V. ed è stato il mio più caro amico.

giovedì 14 ottobre 2010

42- Un ricordo, un amico - Parte I

Il rito era sempre quello. Dopo una lunga nuotata in mare, il contatto diretto con la sabbia caldissima. Si "tuffava" con le braccia aperte, così che anche la faccia (financo gli occhi) si coprivano dei granelli di sabbia. Il bisogno di sole e di caldo era pressante dopo un anno trascorso per lavoro nel freddo Nord Europa. Indubbiamente era un "personaggio". Un bell'uomo in generale con un bel viso in particolare. Gli occhi color nocciola erano particolarmente intuitivi. Capace di mettere a proprio agio la persona più modesta e di mettere a disagio l'individuo più snob! Era un esercizio che faceva frequentemente, perché in fondo l'essere snob era solo di sua pertinenza. Si sposò molto giovane e con altrettanta velocità si separò. Non esultò mai di questa situazione, perché per lui il matrimonio era una cosa seria e vera. Ma a vent'anni... lui... "l'erede", lui... "il figlio maschio", lui che sprigionava la sua vitalità fisica ed in pari misura intellettiva, vide la giovane bella, anzi bellissima, e la sposò. Fu un disastro: due mentalità diverse, anzi due schemi mentali differenti e che andavano a velocità diverse. Il suo lavoro lo portò sempre più lontano. Ma quando tornava si riappropriava del territorio, dei sentimenti, della luce, del sole, del rituale che scandiva le abitudini delle nostre famiglie. Si sottometteva umilmente alle sue radici, perché lui si sentiva il terminale di un albero genealogico che lo vedeva molto vicino a mia madre. Tutti lo volevamo bene. Ma la presenza più discreta e costante nella sua vita fu quella della sua mamma.

(continua)

Fonte immagine: http://www.dreamsworld.it/

giovedì 7 ottobre 2010

41 - La sposa con la bambola

La grande sala da letto era poco illuminata. Un solo candeliere con cinque candele accese posato sul comò. L'aria era greve. Da diversi giorni la stanza non veniva areata. Il letto a baldacchino era in ordine e lindo. Le lenzuola erano ricamate finemente. I fratelli avevano così ordinato alla servitù, perché il padrone stava per morire. Almeno così tutti dicevano e pensavano. Lui, con gli occhi chiusi e il respiro affannoso, giaceva immobile. Aveva compiuto da poco sessant'anni. Un grande traguardo per i tempi di allora (metà '700!) . Aveva spadroneggiato sulla sua famiglia, sui servi e goduto della vita in tutti i suoi eccessi. Non si era mai sposato. Che bisogno c'era? Tutti erano ai suoi piedi e tutti pendevano dalle sue labbra. I lineamenti del viso erano forti e decisi. Il corpo, per i vizi, era diventato flaccido. Aveva guardato chiunque con alterigia e sufficienza. Ed ora stava per morire. E i fratelli? In quanto suoi eredi litigavano spudoratamente tra di loro per la spartizione dell'immenso patrimonio. Ma lui ascoltava. Udiva. Sentiva una grande repulsione nei loro confronti. Doveva farcela... e visse, lasciando tutti allibiti! Decise: "Basta! Ora mi sposo e mando all'aria le speranze di questi parassiti!" e scelse la sua sposa.
Aveva quindici anni, bella, con occhi verdi e capelli neri che incorniciavano il suo viso bianco come di porcellana. Minuta, con un fisico ancora da bambina! Varcò il portone dell'antico palazzo, dove inquietanti e lugubri sotterranei si snodavano in misteriosi ambienti, vestita del suo abito da sposa di colore avorio interamente ricamato in oro. I capelli erano trattenuti da un piccolo diadema, tempestato di diamanti. Sul volto della sua nutrice che l'accompagnava, una smorfia di dolore, ansia e disappunto, Lei sorrideva e saliva le scale, portando tra le sue braccia una sola cosa: la sua bambola, con la quale aveva giocato sino al giorno prima e con la quale continuò a giocare per diversi anni ancora.
Lei era nata V. ed era una mia antenata.

Fonte immagine: http://unminuettonelcuore.splinder.com/

giovedì 30 settembre 2010

40 - Flash di ricordi

Mi riferisco sempre alla nata V. più importante per me: mia madre.
Ecco la ninna nanna che mi cantava con voce dolcissima:
"Lungo i pascoli del ciel, cavallino va, tutto d'oro è il suo mantel nell'oscurità. Vecchia luna di lassù mostragli il cammin, stelle d'oro fate il coro, buonanotte a te..."
La poesia che più amava: Signorina Felicita di Guido Gozzano. La recitavo per Lei tutta intera, ne era rapita. Attenta ad ogni passaggio della narrazione. Si sentiva coinvolta da questa timida storia di amore non andata a buon fine, tra un avvocato inquieto ed una quieta giovane di provincia.
Il repertorio delle canzoni era estesissimo, andava dagli anni '20 ad oggi. Però si emozionava molto quando ascoltava: "C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones..."
Il fiore che più amava: il narciso, primo a fiorire dopo i rigori invernali.
La città più apprezzata e visitata: Firenze.
Il colore preferito: il bianco. Anche per questo amava e gioiva davanti ad un paesaggio innevato.
La frase che più la rendeva pensosa: "Dio considerate che noi non comprendiamo noi stessi, che non sappiamo ciò che vogliamo e che infinitamente ci allontaniamo da ciò che desideriamo".
L'unica autorità che veramente riconosceva tale: il Papa.

Fonte immagine:
http://dilwica.ilcannocchiale.it/

giovedì 23 settembre 2010

39 - La bellezza che uccide

Tremavano le sue mani versando il tè freddo dalla brocca. Erano passati cinquant'anni. Erano state compagne di scuola, ed ora si trovavano l'una di fronte all'altra.
Ancora bella e fine, ma piena di rughe l'una. I segni del tempo e delle vicende familiari. Figli, nipoti, lavoro. Ma anche amore per il marito, per i figli e per i nipoti.
L'altra. Doveva essere stata molto bella, ancora levigata nel volto, pieno di fondotinta per nascondere il tempo che passa. Elegante la maglietta un po' rétro, ma che sapientemente nascondeva il collo. Aveva amato molto la sua bellezza. Aveva investito l'intera sua vita sulla bellezza. Si era seduta sul trono di Venere, convinta che da lì il mondo sarebbe stato ai suoi piedi. Errore. Descrisse all'antica compagna la sua disperata solitudine. Avrebbe voluto sposarsi ed avere "una bambina". Ammise il fallimento della sua vita ma non ne comprendeva la ragione. Il trono di Venere le impediva di cogliere con oggettività la realtà... Parlò subito all'amica del suo unico amore (ma amò veramente e fu l'unico?). Il suo professore: un classico oggi come allora. Era pronta ad andare via con lui. Appuntamento già preso in un luogo stabilito. Cinquant'anni fa... Il padre, uomo tutto d'un pezzo, sventò il progetto. Lei restò a casa e rinunciò a quest'uomo. E che fece? Si rimise sul trono e completò l'operazione "inaridimento" della sua anima. Bisogna però ammettere che il gesto del padre l'aveva "marchiata", a quell'epoca era così. Qualcuno si avvicinava, ma poi scappava e svaniva. Lei continuava a curare la sua bellezza. Covava odio per i suoi familiari. Disprezzava un giovane nipote perché "diverso" dagli altri bambini. Si vergognava di lui. Si compiaceva di se stessa, della sua eleganza, della sua vita sociale. Piangeva quando qualcuno ometteva un complimento o uno sguardo compiaciuto. L'ego si dilatava sempre di più.
L'incontro tra le due compagne durò poche ore. Lei si alzava spesso. Forse andava a guardarsi allo specchio per controllare se tutto - trucco compreso - fosse in ordine. Le mani continuavano a tremare. Chiese di poter avere gli appunti del professore per custodirli. Nel salutarmi (io feci da tramite tra le due donne) il suo sguardo s'incrociò con il mio. Provai pietà. I suoi occhi parlavano solo di solitudine.
Ma può la bellezza distruggere una vita?

Fonte immagine: http://www.cristinatorella.com/

giovedì 16 settembre 2010

38 - Il cielo stellato

L'estate è stata afosa. Ed io ho sofferto un po' il caldo e l'umidità. Sempre così. Durante il giorno le temperature sono opprimenti. Invece al mattino presto e dopo il tramonto l'aria è nuovamente fresca e leggera. Con grande refrigerio per tutti noi. Case tenute al buio, anche la luce del sole infastidisce e surriscalda gli ambienti. All'imbrunire si aprono balconi e finestre e respirare diventa più facile. Prima della malattia con lui andavamo in campagna. Al mattino ci svegliavamo con il canto delle cicale ed alla sera la "sinfonia" degli uccelli notturni "chiu, chiu, chiu". Anche i pipistrelli volavano sopra le nostre teste. Indimenticabili le serate a guardare il cielo. Lui ci spiegava tutto. La distanza delle stelle, la velocità della luce. E poi la teoria del Big Bang. Camminavamo col pensiero nel cosmo. Ci sentivamo parte dell'universo ed il cielo stellato - in agosto è veramente una visione speciale! - diventava una magia infinita. Non so ripetere le sue parole su questo cammino a ritroso di milioni di anni fa. Ma il concetto di tempo svaniva. Ci sembrava di affacciarci ad una finestra, da dove riuscivamo ad immaginare l'infinito e l'eternità. Amava l'ignoto. Era stimolo alla sua intelligenza. Ed ora che non c'è più, lo immagino in giro per l'universo, tra le stelle, per cercare di capire ed avere chiara l'origine e la nostra storia. Magari per vedere la "particella di Dio"... per poi andare avanti indietro tra stelle, asteroidi, pianeti al di fuori del tempo e dello spazio. Libero, alla presenza di Dio.

Fonte immagine: http://www.paconline.it/

giovedì 9 settembre 2010

37 - Lei

"Forse è meglio che lei torni qui perché suo marito ha avuto un malore". Queste parole hanno cambiato la mia vita. Ero giovane - 38 anni! - ed iniziava un calvario lungo 17 anni. Tutto finito. Una voragine tra il prima ed il dopo. Io stessa non so come ho potuto resistere e far fronte ad una situazione senza speranza. Ictus e per 17 anni solo quello. Ma c'era lei. Bisognava che lei crescesse serena, e possibilmente anche allegra. Che sapesse trovare in se stessa le energie, le motivazioni per maturare bene, senza dover ricorrere a scorciatoie devastanti. Mi faceva tenerezza. La carnagione bianchissima, ottocentesca, i capelli e gli occhi neri. Sottile, bella. È stata la mia sfida, la mia forza, la mia voglia di vivere. Tutto mi diceva che stavo per affondare come nelle sabbie mobili... invece sono diventata una roccia. Per lei. Lei doveva sentire la famiglia - malgrado gli eventi - unita, forte e tranquilla. Lei doveva credere. Per lei guardavo avanti, vedevo un futuro e le trasmettevo la voglia di avvenire. Ogni giorno è stato un impegno immane. Ma è cresciuta serena, riservata, curiosa, studiosa. Mai trash. Sempre composta ed elegante. "Il futuro è grande, immenso, bellissimo, ed è solo tuo...". Non volevo che si crogiolasse nella negatività del presente. "La vita è unica ed imprevedibile, bisogna amarla, perché vivere è il dono più grande che Dio ci ha dato.". "Guarda sempre avanti: a destra e a sinistra. Apri gli orizzonti. Tu sei nella tua vita la principale protagonista". Lei non ha fatto inaridire il mio cuore. Lei ha alimentato la mia capacità di amare. Lei è l'ingegnere che ora vive in terra di Germania.
Lei è mia figlia.

Fonte immagine: http://fiorellina.splinder.com/

giovedì 2 settembre 2010

36 - Una ragazza ebrea

I riti delle vacanze estive si sono conclusi. Bollino rosso, bollino verde, situazione aeroporti, navi, meteo, mete lontane e vicine, spiagge affollatissime... Io ho vissuto ai margini di tutto ciò, anche nel paese del profondo sud. Pochi contatti e con pochissime persone, qualche lettura ed un po' di ricordi. E poi ho pregato. Quasi si dimentica che il ferragosto è una festa religiosa dedicata alla Madonna. Questa donna ebrea metafora per l'umanità in genere e per le donne in particolare.
Essere assolutamente libero. Avrebbe potuto dire di no. Ma in spirito di assoluta libertà acconsentì anche ad avere il Figlio... fuori dal matrimonio. La Bibbia è piena di figure femminili importanti e protagoniste (si pensi a Miriam, Ester, Elisabetta, Sara e così via...) anche - mi si faccia passare il termine - "femministe". Ma con Maria si tocca l'apice della femminilità, della libertà come scelta consapevole, isolata e "controcorrente". Maria è fuori dagli schemi di allora, ignora i formalismi della legge mosaica, i luoghi comuni. Prende un percorso completamente diverso da quello che, in quell'epoca ed in quella società, era normale e "doverosamente" convenzionale. Quante di noi riescono a forare le gabbie dei convenzionalismi e delle mode?
Il ferragosto ci immette in queste routine, anche legittime per carità... ma non dimentichiamo che è un giorno dedicato ad una giovane ragazza ebrea vissuta oltre 2000 anni fa.

Fonte immagine. http://www.archaeogate.org/

giovedì 26 agosto 2010

35 - La favola del nonno - Parte IV

Ruppe in singhiozzi il Cavalier d'un tratto. Ella il pallido viso alzò disfatto. La damigella alzò con meraviglia gli occhi ch'avean il pianto sulle ciglia...
"Iddio ancora a voi la madre ve l'ha presa ch'ora piangete che m'avete intesa?".
"Ancora a me la madre prese Iddio, ma chi gli disse - prendila! - fui io!".
"Voi? Ma chi siete? Qual è il vostro nome?".
"Morvàn il nome, Breus il soprannome! Oh sorellina! Io son pien di gloria: ogni giorno ho contato una vittoria! Ma se potevo indovinar quel giorno che non l'avrei rivista al mio ritorno - oh sorellina - non sarei partito! Oh sorellina non sarei fuggito! Per vederla, qui, sul limitare... per rivederla presso il focolare, per abbracciare con te per lei le mie vittorie tutte le darei!!! Sarei felice pur che a lei vicino di strigliar tuttavia quel mio ronzino!".
[...]

Spero di averla ricordata bene! In ogni caso, la dedico a Te, nonno.

giovedì 19 agosto 2010

34 - La favola del nonno - Parte III

"Perché piangete buona damigella? Perché piangete cara damigella?".
"Io voglio dirvi sire cavaliere, io voglio dirvi che mi fa dolere... È un mio fratello che dieci anni fa - ora sarebbe della vostra età - ci abbandonò per farsi cavaliere! Io piango appena vedo un cavaliere! Se vedo un cavaliere presso il castello, piango pensando al mio dolce fratello."
"Non avete la mamma, o damigella, non un altro fratello ed una sorella?".
"Nessuno almeno ch'io li veda in viso... son fratelli e sorelle in Paradiso! Anche la mamma l'ha chiamata Iddio, non c'è più qui che la nutrice ed io. La mia mamma morì dal dispiacere quand'ei partì per farsi cavaliere. Ecco il suo seggio presso il limitare, ecco il suo letto presso il focolare, la sua crocetta la porta sovra me per il mio povero cuore altro non c'è.

(continua)

giovedì 12 agosto 2010

33 - La favola del nonno - Parte II

Dopo dieci anni dieci tutti interi, Breus il cavalier dei cavalieri sostò pensoso avanti a quel castello. Era fradicio e rotto il ponticello. Entrò pensoso nella corte antica. C'era tanta erba, c'era tanta ortica. Il rovo vi crescea come una siepe, la muraglia era piena di crepe. L'edera aveva la muraglia invasa, l'erba copria la soglia della casa. E l'uscio era triste ed imborrito a mo' di tomba. Egli lo picchiò picchiò picchiò... Ed ecco al fine una donna antica e cieca che gli aprì.
"Voi, nonna, albergar mi si può per questa notte?".
"Albergar vi si può per questa notte, albergar vi si può di tutto cuore, ma l'albergo non è forse il migliore. Ché questa casa è tutta in abbandono da che il figlio partì dieci anni or sono...".
Era discesa una donzella intanto che appena lo guardò ruppe in gran pianto.

(continua)

lunedì 9 agosto 2010

32 - La favola del nonno - Parte I

Tutti abbiamo letto o ci hanno raccontato favole. Io sono cresciuta con mio nonno che mi recitava una poesia che per me era una favola.
Eccola:

Viveva con sua madre in Cornovaglia e un dì trasecolò nella boscaglia, nella boscaglia un dì tra cerro e cerro vide spuntare un uomo tutto ferro. Morvàn pensò che fosse San Michele. S'inginocchiò: "Signore, San Michele non mi far male per l'amor di Dio.".
"Né mal fo io, né San Michele son io. No San Michele non possìo chiamarmi, Cavaliere sì, son cavaliere d'armi.".
"Un cavaliere? Ma che cosa è mai?".
" Guardami, o figlio, e che cos'è saprai.".
"Che è codesto lungo legno greve?".
"La lancia ha sete e dove giunge beve.".
"Che è codesto di cui tu sei cinto?".
"Spada sei hai vinto, croce se sei vinto.".
"Di che vesti?".
"La veste pesa e dura: è ferro, figlio, questa è l'armatura.".
"E tu nascesti già così coperto?".
Rise e rispose il cavalier "No certo.".
"E chi la pose, dunque, indosso a te?".
"Chi può chi può... ma caro figlio, il Re!".
Il fanciullo tornò dalla sua mamma e le saltò sulle ginocchia "Mamma mammina - cinguettò - tu non lo sai: ho visto quello che non vidi mai. Un uomo bello più del San Michele che è in Chiesa tra il chiaror delle candele.".
"Non c'è uomo più bello figlio mio, più bello - no - di un angelo di Dio.".
"Ma si ce n'è mammina - se permetti - ce n'è mammina e cavalier son detti. Ed io mammina voglio andar con loro ed aver vesti di ferro e sproni d'oro.".
La madre a terra cadde come morta e già Morvàn usciva dalla porta. Morvàn usciva e le volgea le spalle ed andava difilato nelle stalle. Nelle stalle trovò solo un ronzino, lo prese, vi montò sopra in cammino. Egli partì né salutò persona. Eccolo fuori che batte e sperona. Eccolo già lontano dal castello dietro quell'uomo ch'era così bello.

(continua)

Fonte immagine: http://www.scuolegrosio.it/

giovedì 5 agosto 2010

31 - Lui

"Ma tu che dici, esistono gli UFO?". Eravamo tutti lì in attesa di una sua disquisizione scientifica. Lui era un uomo di scienza. Pioniere nella ricerca spaziale. Erano in pochi allora. Ma tanta voglia di affermare anche l'Italia in questo settore. Giorno dopo giorno costruì le sue conoscenze con quella formidabile intelligenza che Dio gli aveva donato. Ma la risposta ci sorprese... "Penso di sì. Nella parabola della pecorella smarrita, Gesù dice che lascia le altre per cercare l'unica che si era persa. Per me il messaggio si può leggere anche in chiave cosmologica. La pecorella smarrita rappresenta l'umanità che vive su questa terra e che a causa del peccato originale ha avuto bisogno della venuta del Cristo. Le altre hanno continuato a vivere in altri mondi...". Restammo allibiti! Ma lui era così: profondamente razionale, profondamente intuitivo, profondamente credente. La sua era una intelligenza vivissima. Completa. Non pedantemente razionale, ma dotata di forte intuito. Quasi (mi è difficile spiegare) alimentata da una buona dose di "fantasia". Sembra un paradosso. Ma questa vivacità lo proiettava sempre avanti, senza remore, senza preconcetti. Il futuro era tutto da scoprire come l'universo che egli amava tanto. Ma il futuro era anche passato. Conosceva bene la storia della terra dal punto di vista geologico. Conosceva bene i cicli della natura, l'utilità di ogni cosa, di ogni essere vivente, di ogni pianta... ed in questa natura splendida ed amata lui volava alto con i suoi pensieri. Lui era affascinato dall'incognito. Nessuna paura. Anzi era una stimolo all'applicazione della sua mente. Lo spazio, l'universo, la luna, i satelliti... il suo lavoro era anche il suo hobby preferito. Umile nella sua ricerca scientifica perché convinto dell'esistenza di Dio, ma entusiasta perché consapevole delle capacità dell'uomo. Lui era mio marito.

Fonte immagine: http://alleradici.blogspot.com/

lunedì 2 agosto 2010

30 - La farfalla

Il post precedente ("Australia") mi induce ad alcune riflessioni. Erano meno felici allora di oggi? La durezza di certe situazioni era più forte allora di oggi? Ma poi cos'è la felicità? Oggi siamo tutti più o meno agiati (faccio riferimento alla nostra realtà occidentale). La tecnologia ha invaso le nostre case. Lavatrici, lavastoviglie, TV, computer, cellulari... farmaci di ogni tipo per risolvere anche i problemi più intimi del nostro essere. Abbiamo svuotato la persona umana. I sentimenti? No... sesso. Famiglia? Macché... è desueta. Un figlio? Impossibile... è un ingombro. Le holding farmacologiche amministrano la nostra vita. Anche nei momenti più personali: "Non vuoi avere questo figlio? Eccoti pronta la pillola adatta". Siamo consapevoli!... Ma di che? É rara l'originalità. Tutti ci comportiamo allo stesso modo, secondo modelli mediatici o slogan che, agli inizi, avranno avuto magari una loro vitalità nella provocazione, ma che ora sono "muffe" sul nostro cuore. Siamo incapaci di ascoltare la Verità. Come vi ho già detto in un altro momento, il mio paese del profondo sud (come tanti altri) "scopiazza" la città ed i rumori sono assordanti. Stamane ho fatto due passi verso la campagna. Ero io e la natura ed i suoni della natura. Cosa ci può essere di più bello di una farfalla che vola, di un albero sotto il quale l'ombra diventa refrigerio in queste giornate così afose? Lo so, la vita ha ritmi convulsi. Ci sono passata. Ma non dobbiamo perdere di vista questi segnali perenni, autentici, diretti. L'angoscia è stata sempre compagna dell'uomo. Non è la novità esistenziale di questo tempo. La serenità però richiede un percorso faticoso. Non le scorciatoie. Non gli stordimenti. La giovane donna che partì per l'Australia alla fine ebbe una famiglia, due figli e nipoti. Affrontò con paura quel lungo viaggio. Ma lo fece. Con speranza, ed anche con delusione ed angoscia. Con il suo cuore. Senza "muffe".
È solo una opinione. La mia.

Fonte immagine: http://cymbalus.files.wordpress.com
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giovedì 29 luglio 2010

29 - Australia - Parte IV

Fu scelto dalla famiglia un uomo più grande che viveva in Australia. I contatti furono presi dai parenti di entrambi e fu deciso il matrimonio per procura. Lei continuava a sorridere. Sperava che quest'uomo lontano, questa terra lontana potessero dare una svolta positiva alla sua giovane vita. Ma in fondo la sua allegria non era più la stessa. Lo sguardo tradiva l'ansia e l'incertezza del suo avvenire con uno sconosciuto. Mostrava la foto... ma il suo cuore dov'era? Cosa avrebbe voluto? Tutto fu deciso rapidamente. Le sorelle fecero sì che tutto si svolgesse in tempi brevi. Io (ero una bambina) non capivo cosa significasse matrimonio per procura. Fu uno "choc" quando la vidi in Chiesa... bella nel suo abito bianco, con i suoi "tirabaci" che le incorniciavano il volto, mentre usciva al braccio di un uomo di 70 anni che aveva ricevuto la procura a rappresentare il marito rimasto in Australia. Piangevo e guardavo allibita ogni momento del ricevimento nuziale. Ci fu anche il taglio della torta! Ma lei non sorrideva più. D'un tratto i suoi lineamenti si erano induriti, anche se continuava a dispensare sorrisi agli invitati. Non era più quella di prima. Di lì a pochi giorni sarebbe partita per l'Australia. Ed arrivò quel giorno. Con una macchina in affitto ed accompagnata dalle sue sorelle, da me e da una mia sorella, partimmo per la città da dove sarebbe salpata la nave. Eravamo tutte sul molo del porto. Lei ci baciò e piangeva, anche io piangevo. La vidi salire con le sue valige. La vidi affacciarsi insieme agli altri emigranti mentre la nave partiva. Io e mia sorella, finché fu possibile, tra singhiozzi e pianti, continuammo ad agitare le mani in segno di saluto. Le sue sorelle invece raggiunsero subito l'automobile. Forse perché soffrivano o magari si sentivano sollevate: avevano un pensiero in meno...

lunedì 26 luglio 2010

28 - Australia - Parte III

La più giovane era proprio graziosa! Minuta e molto snella, vivace forse un po' civettuola. I capelli annodati indietro, mentre davanti piccoli ciuffetti "tirabaci" le incorniciavano il viso sorridente. A differenza delle altre sorelle, che sin da bambine erano state mandate presso famiglie per lavorare, lei viveva con l'anziano padre. Si percepiva il distacco generazionale con il resto della famiglia. Lei voleva vivere, divertirsi, essere allegra, innamorarsi e sposarsi! Consapevole della sua meravigliosa giovinezza, cercava anche di apparire elegante: gonne larghe a "campana", camicette aderenti e un bel rossetto rosso sulle labbra. Non faceva alcunché di male. Se non sorridere con gli occhi e con il cuore che chissà se già palpitava per qualche giovane... Le sorelle si preoccupavano e non gradivano i suoi atteggiamenti. Per questo motivo la trattavano aspramente, rimproverandola per chissà cosa! Ma lei era tenace. Era un vulcano di entusiasmo! Le piaceva ballare e lo faceva anche con molta grazia. Cantava, stava parecchio tempo davanti allo specchio, portava i tacchi alti con disinvoltura. L'energia della sua giovane età la difendeva dai brontolii sempre più pesanti che il resto della sua famiglia le riservava e che, di lì a poco, l'avrebbero annientata per tutta la vita. Infatti decisero, padre e sorelle, che doveva sposarsi...

(continua)

giovedì 22 luglio 2010

27 - Australia - Parte II

Poi c'erano quattro figlie. La più grande fu mandata in città a lavorare. Arrivata nel nuovo ambiente gestì la sua vita fra sbagli e delusioni, facendo un percorso "non pulito". Insomma deviò. Fu un grande dolore. La loro era una famiglia povera ma fiera ed onesta. Di lei non si parlò più ed io ne ignoravo perfino l'esistenza. Ricomparve quando il vecchio padre, ormai prossimo alla morte, volle rivederla e perdonarla. Il volto portava i segni della vita vissuta, capelli tinti di un biondo "trash". Con lo sguardo sfidava questo piccolo mondo che l'aveva cacciata ed emarginata. Tornò a vivere in paese, portando con sé i figli (tutti di padri diversi). Trovò un lavoro come cuoca che praticò con competenza e precisione. I suoi lineamenti rimasero sempre duri, come dura doveva essere stata la sua vita...
Le sorelle di mezzo mi erano le più vicine e care. Una viveva (sin da bambina) con i miei nonni. Era veramente intelligente e si era molto raffinata. Aveva una bella voce e cantava spesso con la mia mamma. Mi insegnò a ballare... il valzer. Lei, che non aveva mai partecipato ad una festa se non per guardarla dal suo posto di servizio, aveva imparato, bene e di nascosto - credo - i balli tipo tango e valzer! "Un due tre, mai di lato, avanti ed indietro..." erano le sue lezioni di valzer. Sopravvisse pochi anni alla morte dei nonni. Continuai sempre a vederla. Mi piacevano i pomeriggi trascorsi con lei. Mi voleva bene ed anche lei ha saputo leggere nel mio cuore... L'altra sorella visse con noi venti anni. Faceva così parte della mia famiglia che - da bambina - pensavo che avesse il nostro cognome! Ancora oggi quando la vedo, malgrado il suo carattere spigoloso, mi emoziono!

( continua)

lunedì 19 luglio 2010

26 - Australia - Parte I

Era una famiglia poverissima. Una piccola casetta in un vicolo del paese del profondo sud, mancante di tutto. Il vano terra, non pavimentato, con un angolo cottura a legna che aveva annerito l'intera parete. Al centro una scala di legno immetteva in un vano soppalcato diviso in due da una tenda. In una parte dormivano i genitori, nell'altra tutti i figli. Cinque figli. La madre morì abbastanza giovane, non l'ho conosciuta se non attraverso poche foto con la mia mamma, avendo ella lavorato presso di noi. Il padre, invece, fu longevo. Stava sempre a casa nostra, soprattutto all'ora dei pasti. Mia madre non gli fece mancare mai un piatto caldo... Conosceva tante nenie antiche, era forse un cantastorie. Un solo figlio maschio. Da ragazzino fu mandato al nord (allora si diceva "Settentrione") dove visse, lavorò e migliorò la sua posizione socio-economica. Per svariati decenni non venne: ogni tanto una telefonata a casa nostra. Chiedeva del papà e di tutti. Tornò ormai parecchio adulto, quando il vecchio padre morì. Parlava in italiano, non nel nostro dialetto. Si capiva che si sentiva fuori posto, estraneo a quell'ambiente che aveva lasciato quasi bambino. Nei suoi occhi grandi e neri si leggeva tutta la sua vita. La sua lotta per sfuggire alla disperazione di una realtà senza speranza... e poi il raggiunto benessere, il matrimonio con una ragazza lombarda ed il figlio. I nostri giovani allora lottavano, non si arrendevano, partivano ovunque ci fosse una opportunità di lavoro. C'era tanta povertà... ma tanta voglia di lavorare e di riscatto.

(continua)

Fonte immagine: http://www.voyagesphotosmanu.com
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giovedì 15 luglio 2010

25 - Cogito ergo sum

Riordinando alcuni libri, nel paese del profondo sud, ho trovato il mio vecchio manuale di filosofia. Lo apro. La pagina è quella di Cartesio e del "cogito ergo sum". Indubbiamente questa enunciazione è stata molto innovativa in quel contesto storico-filosofico. Il problema ontologico e della conoscenza (che paroloni!) viene spostato dall'esterno all'interno del nostro io. Io penso quindi esisto. Al di là delle considerazioni tecniche che sono molto complesse (non so se ne sarei capace), ora, a 60 anni compiuti, penso che la relativizzazione o relativismo che dilaga in termini correnti nella società attuale sia anche partito da lì. Non era nella mente di Cartesio il mondo di oggi, ma il cogito cartesiano è stato come uno schiocco di dita che ha dato il via. Ha aperto un nuovo scenario al pensiero umano dove, come in un'enorme prateria, ognuno - il tecnocrate, il filosofo, il sociologo, il teologo - ha piantato tenda. Mi si permettano, anche a costo di banalizzare Descartes, alcune mie riflessioni "fuori tema". Nella nostra società ognuno afferma se stesso. Bene. Si erge a legislatore dell'etica (rabbrividisco!), la assolutizza, immettendola nei rigagnoli del pensiero-slogan, infarcito di mode, di imitazioni ed anche di solitudine. Siamo diventati esseri fragili. Quante volte diciamo di operare solo secondo la nostra coscienza. Come se nella nostra coscienza ci fosse la verità. Nulla è giusto e tutto è giusto. Effetto devastante: l'uomo diventa, oltre che legislatore, giudice di se stesso. Abbiamo svuotato i sentimenti più autentici. Storditi da sollecitazioni, siamo diventati sordi. Non sappiamo ripiegarci su noi stessi, né ascoltare gli altri, la natura che parla sempre il suo linguaggio universale o Dio (per chi crede, io sì) . Miei cari lettori, voi penserete in questo momento che Matilde nata V. ha 60 anni, quindi... ma io rifiuto questa soluzione-data di nascita! Dico è una opinione. La mia. Grande Cartesio!!!

Fonte immagine: http://www.cra.na.it/

lunedì 12 luglio 2010

24 - Berlino 1980 - Parte III

Victor, invece, guardava con il suo binocolo il simbolo della Mercedes Benz che, in lontananza ad ovest, sovrastava un grattacielo. Era entusiasta come un bambino! Anche quel cerchio in alto rappresentava l'occidente... uno dei sogni su tutto quello che pensava che ci fosse al di là della cortina di ferro. Oltre la porta del Brandeburgo si vedeva una donna alata: la Vittoria! "Se io tentassi di passare questo muro?" (domanda inutile e banale), mi rispose "Ti sparerebbero a vista". In albergo avevo sentito della rivolta nei cantieri navali di Danzica. Victor, alla notizia, rimase molto turbato. Dopo tutti quei discorsi sulla libertà, perché era così impaurito? "E' troppo presto ed è molto pericoloso". Così mi disse. Il vento era cessato. L'Unter den Linten era pieno di foglie. Tornammo indietro, ognuno di noi seguiva i propri pensieri. D'un tratto mi chiese se potevo spedirgli un libro dall'Italia: "Il Dottor Zivago". Gli feci presente che sarebbe stato pericoloso per lui. Mi rassicurò. Feci fatica - tornata in Italia - per trovare il libro, mentre continuava lo scambio di lettere. Finalmente ci riuscii: Victor ebbe il Dottor Zivago. Da allora non ebbi più sue notizie.

giovedì 8 luglio 2010

23 - Berlino 1980 - Parte II

Lo percorremmo. C'era molto vento e Victor, come sempre, cominciò a parlare. I suoi discorsi erano un inno alla libertà. Avrebbe voluto un mondo senza confini e senza stati (il Paradiso?). Era un aspirante apolide anche lui come me, ma per disperazione. Tutto quello che lui diceva era autentica utopia, ciò lo rendeva in quei momenti felice! Passammo davanti all'ambasciata sovietica e Victor ironizzò "ecco la nostra mamma...". Mi parlò della sua vita a Bucarest dove viveva con una zia e passava le serate cercando di captare la radio libera di Vienna. Il suo grande desiderio: visitare la Francia. E già, la Francia... c'è sempre un quattordici luglio che vorremmo vivere, c'è sempre un quattordici luglio in ognuno di noi... Arrivammo al muro. Dall'altra parte si vedeva l'ovest di Berlino. Io mi sentii rabbrividire davanti ai soldati che, con il mitra spianato, presidiavano quel monumento.

(continua)

lunedì 5 luglio 2010

22 - Berlino 1980 - Parte I

Sono vissuta nel pieno della "guerra fredda". Le ideologie erano barriere a volte insormontabili, fonti di divisioni e di violenze. Al di là della cortina di ferro tutto era tabù. Ed io ero curiosa. Si diceva... si sentiva... Decisi allora di varcare l'est dell'Europa. Così, dopo la Russia sovietica e la Jugoslavia di Tito, andai a Berlino Est. Si respirava un'aria pesante, greve e (mi si permetta) tragica. Mai viaggio mise in discussione così me stessa, coinvolgendomi razionalmente ed emotivamente. Come può la storia assumere una sembianza così sinistra? Ed il "muro" era la parodia terminale di questa storia. Conobbi in hotel un ragazzo rumeno: Victor. Lavorava nella Romania di Ceaușescu per il ministero dell'economia. Parlava a ruota libera e ciò mi destava preoccupazione per la sua incolumità. C'era sempre nel nostro gruppo, per caso, qualcuno che nessuno sapeva chi fosse... né perché fosse lì. Un giorno decidemmo di fare una passeggiata Sotto i Tigli: l'Unter den Linten, il famoso viale di Berlino.

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Fonte immagine: http://www.viaggiaresempre.it/

giovedì 1 luglio 2010

21- Nata V.

Certamente il personaggio più complesso della mia famiglia era mia madre. Nata V. come Matilde che era sua zia e mia madrina di Cresima. Come tutte le donne della loro casa, erano dotate di un senso pratico che le rendeva più consapevoli degli uomini. Ma ciò era sì un aspetto importante, ma diventava marginale nell'insieme delle loro personalità. Un sottile malinconico pessimismo ha caratterizzato lo scenario della sua vita. Ma perché? Molte volte mi sono posta tante domande su mia mamma. Questo suo essere in quel modo (quale?) ha condizionato molto la mia vita. Come ho già detto era bellissima. Rigorosa con se stessa. Profondamente credente e con una sua mistica autentica. Umile e schiva e nel contempo fine ed elegante. Non era appariscente. Amava molto la famiglia. Comunicava bene con tutti, anche con le persone più semplici, le quali l'hanno molto rispettata e stimata nella sua vita non molto lunga e colpita da una malattia rara ed invalidante. Pochi i momenti in cui il suo sorriso era spensierato. Perché? Non so. Certamente i rapporti con i suoi genitori erano stati un po' difficili. Non tanto per il nonno. Quanto per la nonna formale ed il cui formalismo avrà ferito la sua sensibilità. Ma, in fondo, anche questa è una storia che si ripete tra genitori e figli. Nulla di eccezionale. La vita che passa, ora, fluidifica tutto. Rimane un po' di amaro, ma più si va avanti, più ci si fa una ragione di cose delle quali si disconosce la ragione. Quello che resta intatto è l'amore e tanto è stato per la nata V. più importante della mia vita.

Fonte immagine: http://www.annavigo.it/

lunedì 28 giugno 2010

20 - Addio mia bella signora - Parte II

Credo che anche la mamma lo avesse intuito, ma non volle mai ammetterlo. Con mia sorella eravamo sempre in giro (soprattutto quando non eravamo in gita) ed incontravamo spesso il notaio che accompagnava questa signora lungo i viali fioriti di Chianciano. La nostra fantasia galoppava. Nel dopo cena, tra sorrisi e conversazioni, nulla ci sfuggiva. Mia madre cercava di tenerci a freno. La moglie del notaio percepiva qualcosa (era il nostro parere), ma non evitava la compagnia di questa coppia. Il marito rimbambito non capiva, ovviamente, alcunché. Le passeggiate divennero sempre più frequenti... e si arrivò alla sera precedente la fine della vacanza. Dopo la solita riunione sul terrazzo, il notaio e la bella signora uscirono. Io e mia sorella, con noncuranza, li seguimmo a distanza. Lui comprò una rosa e lei si appoggiò al suo braccio. Si sentiva un'aria di addio! Quella scena ci mandava in visibilio! Avanzavano sfiorandosi, sempre più vicini e forse anche più tristi. Allora, adagio adagio, cominciammo a cantare un vecchio motivo che conoscevamo dalla mia mamma: "Addio mia bella signora, lasciamoci così senza parole. Al destino che viene, rassegnarsi conviene...". Beata la nostra gioventù incosciente!!!

giovedì 24 giugno 2010

19 - Addio mia bella signora - Parte I

Mia madre soffriva un po' con il fegato. Papà decise quindi che io e la sorella poco più grande di me l'avremmo accompagnata a Chianciano Terme. Non eravamo stati oltre Roma e la Toscana ci apparve un luogo bellissimo al cui contatto percepimmo quanto fossero grandi le differenze con il nostro sud. Trovammo paesini curati, infiorati e soprattutto mantenuti intatti. Non c'era stato scempio delle strutture antiche, anzi... Cominciammo a girare (era tanta la voglia di conoscere). Montepulciano, Pienza e poi Firenze, Siena, Orvieto, sino alla Repubblica di San Marino. L'arte che tanto amavamo e conoscevamo attraverso i libri, era davanti a noi! Anche l'organizzazione delle terme ottenne il nostro plauso. Il parco, i negozi, il fotografo, i concerti: la mia mamma ricamava e noi in giro... a curiosare. La sera in hotel bisognava onorare la cena e il suo dopo cena. Ci cambiavamo d'abito e gustavamo le prelibatezze della cucina toscana! Poi tutti sul terrazzo a chiacchierare. La mia mamma aveva fatto amicizia con una signora che come lei amava il ricamo. Era la moglie di un notaio. A questo gruppo si aggregava un'altra coppia. Lei una bellissima ed affascinante signora che accompagnava un marito vecchio e un po' rimbambito. Noi ragazze notammo sguardi furtivi ma insistenti tra il notaio (bell'uomo) e la fascinosa signora...

(continua)

Fonte immagine: http://moniasogni.wordpress.com/

lunedì 21 giugno 2010

18 - Al mare

Tutte le estati andavamo a mare per un periodo massimo di 15 giorni, dopo di che vi tornavamo di tanto in tanto, ma solo per poche ore. Era un evento. I paesi della "marina" erano già allora molto più aperti ed evoluti. I primi lidi cominciavano ad organizzarsi, anche se le spiagge erano semi-deserte (che meraviglia!) e nel "clou" stagionale modestamente affollate. "Una rotonda sul mare..." era la canzone più gettonata al juke box... Le famiglie che si trasferivano al mare in case di affitto erano tre o quattro. Il che ci procurava molta eccitazione. Cosa portare? Il costume, il prendisole fatto dalla sarta di famiglia, i pantaloncini corti, qualche vestito per la sera. Nulla di che. Ma per noi tutto era magico, come le serate trascorse in riva al mare, dove il primo lido si era attrezzato per accogliere i villeggianti. Ballavamo, mentre "Sapore di sale" ci faceva vedere le stelle più luminose! Rossi come peperoni, i capelli annodati a "coda di cavallo" e quelle musiche che ancora oggi mi fanno sognare... il passato. Dal "ballo della mattonella" si passava al "twist" oppure al "cha cha cha" e - perché no? - all' "hully gully". Il rumore della risacca del mare di notte era una nenia che allontanava tutte le tensioni. Ancora ora è uno dei suoni della natura da me preferito. Al mattino presto mia madre guardava sorgere il sole ed io con lei. Ci attendeva una giornata di movimento: risate, dispetti ed ogni tanto piccole gelosie! Eravamo una bella comitiva! Qualcuno non c'è più. Uno ci ha lasciato molto ma molto giovane... "oh Daiana solo tu mi conquisti sempre più, non c'è al mondo, credi a me, chi mi piaccia più di te...". Era la Tua canzone preferita ed io, ora, la dedico a Te.

Fonte immagine: http://www.oasidelborgo.com/

venerdì 18 giugno 2010

17 - La mia Roma sparita

Ho lasciato la terra di Germania, diretta al paese del profondo sud. Sono in transito per qualche giorno a Roma. Qui ho vissuto da sposata per circa 25 anni. E' bellissima, ineguagliabile e sfacciatamente unica. Ma tante cose mi deprimono. La solita "tiritera": il traffico, la sporcizia, il degrado delle piazze... e ormai di tutta la città. Malgrado ciò, Roma è ostinatamente bella. In essa tutta la storia occidentale mostra le sue tappe e le sue radici. Ma perché è ridotta così? Perché questo caos, questa "strafottenza" (mi si permetta il vocabolo) di ognuno di noi? Perché siamo così indietro? Perché noi che ci viviamo non rispettiamo alcuna regola? Perché chi ci ha amministrato ieri e chi lo fa oggi non la protegge? I problemi umani sono tutti risolvibili e quelli di Roma sono solo ed esclusivamente problematiche terrene, non riguardano il trascendente! Forse è il destino di Roma! Dalla fine del suo impero è stata predata da orde vandaliche. Siamo noi, forse, gli ultimi in ordine temporale? Roma "sparita" resterai sempre nel mio cuore! Sarò sempre felice ed onorata di vederti! Proverò, guardando le tue bellezze, le forti emozioni che la tua millenaria storia mi suscita. Scusaci. Siamo troppo ignoranti per meritarti...

Fonte immagine: http://gianluigidangelo.wordpress.com
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mercoledì 16 giugno 2010

16 - La femminista

Era una moglie ma anche cugina del marito. Capelli rossi, alta e le unghie delle mani sempre laccate di un colore rosso vivo! Non si amavano, solo l'opportunità, decretata da uno zio di entrambi, decise il loro destino. Graffiante, ironica, alternativa nelle sue idee che creavano panico tra le cognate così contenute nel linguaggio. Contraria al matrimonio, avrebbe voluto che il rapporto della donna con l'uomo fosse un "usa e getta" (sono parole sue)! Però amava partecipare ai matrimoni altrui; avvenimenti mondani in cui si trovava a proprio agio. Diceva quello che pensava, brutalmente, senza mezze misure. Tirava fuori le più recondite frustrazioni di ognuno. E rideva di gusto con aria di sfida. Per più di 90 anni cavalcò la vita dicendo che era passata dalle "stelle alle stalle" e viceversa. Noi giovani l'ascoltavamo affascinati. Viaggiò molto per l'Italia, sempre con comode scarpe da tennis, ma piena di gioielli perché gli altri dovevano capire chi era. La donna doveva solo lavorare ed emanciparsi; tutto il resto per lei era "patologia"! Impedì ai figli di sposarsi, lasciandoli - quando morì molto anziana - in un angolo senza speranza.

Fonte immagine: http://www.turionline.it/

lunedì 14 giugno 2010

15 - Le prozie

Completamente diverse erano le prozie. Intendo tra di esse sia le mogli che le sorelle dei prozii. Tanto evanescenti gli uomini (anche se letterati, intelligenti e sinceri), quanto concrete, lucide e consapevoli dei cambiamenti le donne. Tennero in mano le situazioni anche economiche, con grande adattabilità ad un inesorabile mutamento della società locale. Erano tutte più o meno belle, quasi tutte con occhi azzurri e con nomi settentrionali, importati dalla madre (la mia bisnonna) lombarda. La più grande era la più complessa. Scriveva, con pseudonimo, in un giornale di provincia. Forse era quella che più si avvicinava ai fratelli in certe stravaganze. Non ebbe una vita facile: una scelta matrimoniale sbagliata (testardamente voluta da lei) con conseguente separazione, la fece morire giovane per infarto. Non l'ho mai conosciuta se non attraverso i suoi scritti e un piccolo diario di un suo viaggio a Roma agli inizi del '900. Minuziosi appunti sui monumenti e sulle giornate trascorse nella capitale. Le altre, io credo, fecero tutte matrimoni "combinati" da varie necessità. Donne chiuse, cortesi, intelligenti. Grandi lettori dell'animo umano, capaci di dare preziosissimi consigli a noi giovani. Non rinnegavano nulla del passato, ma cercavano di essere al passo con i tempi. Forse non felici, ma chi lo è?, e poi, cos'è la felicità?

Fonte immagine: http://ventofreddodellest.blogspot.com
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venerdì 11 giugno 2010

14 - I prozii

In paese si viveva tra tanti contatti e con un giro esteso di parentele. Molto hanno influito nella mia giovinezza i miei prozii. Gli uomini (delle donne parlerò in altro momento) figure stravaganti. Lunghe poesie recitate a memoria, eremitaggi. Il mondo cambiava e loro mal si adattavano, sempre orgogliosamente onesti! Erano tutti alti con occhi azzurri. La loro madre (mia bisnonna) veniva dal "continente" ed allora doveva essere stato duro il cambiamento... La amavano e ironizzavano - sempre con molto rispetto - sulle avventure galanti del padre. Ma lei amò veramente questa terra diventata sua per adozione? Ho i miei dubbi. Tutto quello che c'era da sapere sulla famiglia mi è stato raccontato da loro. Come la storia di un' antenata che lasciò il paese per andare in sposa lontano, ed il fratello che l'accompagnava fece fermare la carrozza in cima alle colline e disse: "guarda perché non lo vedrai mai più...". Mi hanno trasmesso non solo notizie ma anche il senso civico, l'onestà, la dignità. Mi hanno sempre capita perché mi amavano. Grazie vecchi gentiluomini.

Fonte immagine: http://www.ritrattidarte.com/

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